venerdì 8 dicembre 2017

Estinzione

Repubblica e tanti altri hanno pubblicato le immagini strazianti di National Geographic, riprese da Paul Nicklen, di cosa significa estinzione: un orso polare che muore lentamente di fame.

(Non le condivido perché sono davvero immagini dolorose, ma se avete coraggio andate a cercarle.)

Io seguo Paul Nicklen da anni, e so cosa pensa quando le leggi della natura sono dure.
Soffre un po', ma è così che funziona.
Questa però non è una legge della natura. È una legge dell'uomo. Lui ed il suo collega non hanno potuto fare niente. Cosa vuoi fare.

Per quanto triste, purtroppo, il problema non è l'orso. Una volta ho letto un articolo bellissimo con un grafico molto chiaro del riscaldamento globale attraverso i millenni. Sembra che più o meno il mondo si sia sempre scaldato un pochino, con qualche passo indietro.

Poi la curva ha un'impennata pazzesca (pazzesca) che è molto recente.
È così da quando l'uomo ha il potere di fare cose più grandi di lui, su larga scala, ad ampio raggio, con molta energia, con molte risorse, enormi fabbriche, cambiamenti repentini, e, soprattutto, molti soldi e molto comfort.

Giorni fa tornavo da lavoro e dal finestrino guardavo l'asfalto sulla strada. È scontato che ci sia, non possiamo farne a meno, e così abbiamo piastrellato tutto il pianeta con questa schifezza putrida e tossica. Le case sicure in cui viviamo per proteggerci dall'estinzione sono di cemento armato. Un'ora di luci di New York quanto costa? Costa qualche milione, un decimo di grado centigrado per l'estate prossima, un chilo di ghiaccio, un orso o un pinguino.

Volevo dire una cosa a tutti quelli che si godono l'entropia dalla loro parte, ma non a quelli che fanno l'idromassaggio ogni tanto. A quelli che fanno le cose enormi che non uccidono solo orsi ma anche persone, bambini. Vi volevo dire che siete al mondo per poche decine d'anni, e non serve fare molti calcoli: i soldi che guadagnate alla vostra scrivania dando ordini per rovinare il mondo non basteranno mai a rendere decenti le vostre piccole vite da viscidi.

lunedì 1 maggio 2017

Shoot the moon ENG

Studio. The complex description of an incredible thing created by Sol León and Paul Lightfoot for NDT1: the very final scene of "Shoot the moon", seen live in Reggio Emilia, 16th March 2016. There is no complete video on youtube about this final scene.
The scene here described happens immediately after the end of this video.


Few light on the dark stage; the turning scenography stops, two of its three rooms are visible. On the wall between them, a window. A man and a woman move far from each other through the window in a struggling, silent, rapid goodbye, leaving in the middle a big sense of vacuum.
They step towards the opposite walls, far from each other on the stage, and don't look at each other.
Above the stage a screen appears: two screens, let's say, next to each other, show what two hidden cameras record at the sides of the stage, one for each dancer.
In a few seconds the spectator realizes that the screens are inverted: the dancers, that do not see each other on the stage, seem to look in their eyes on the screen, through an imaginary window on the boundary between the screens.



Then the magic: a soft interaction starts, through the imaginary window, with a beautiful flow of enrgy and mutual sensitivity. And they still don't see each other.
What happens on the screen seems to be a different dimension: as if it they did, in their minds, what they didn't do in their real goodbye. Each of them lives in his own intimate dimension what was not realized, and recuperates it. Their thoughts, perfectly in harmony, complete their goodbye on the screen, only point of contact left.
Suddenly, she has a movement springing in the opposite direction. Then, a magnetic force pulls her towards him, in their imaginary window. She is actually looking at something out of the stage, on the left, but is instead looking at him on the screen.
They stand this way for a few seconds, looking at each other through their window - actually, backs towards each other and separated by the wall.
Then she, with the solemn and heavy footstep of who has decided, moves slowly towards the middle of the screen. By going out of the stage, she enters the black line of their imaginary window.
Standing, he is hit by a sudden flow of breathe tha pushes him back. His shoulders go slightly back in a soft cambré. Her ghost, disappeared in the black line of the screen, softly enters his chest with a whisper.
His hair move lightly; he sets upright; the whisper stops.
All is still.
All is fixed.
Dark.
Curtain.



domenica 30 aprile 2017

Shoot the moon

Studio. La descrizione complessa di una cosa incredibile creata da Sol León e Paul Lightfoot per NDT1: il finale di "Shoot the moon", esibizione del 16/03/2016. Di questo finale non esiste alcun video su youtube.
La scena descritta accade immediatamente dopo la fine di questo video.


Sul palco quasi buio, la scenografia girevole a tre stanze è ferma sul confine fra due stanze. Nel muro in mezzo c'è una finestra; un uomo ed una donna si allontanano ai due lati della finestra in un congedo struggente, rapido e silenzioso, lasciando un grande vuoto.
Vanno verso i muri opposti, lontanissimi sul palco, non si guardano.
Al di sopra del palco si accende una schermata: due schermate, l'una accanto all'altra, ritraggono ciò che è ripreso da due videocamere nascoste in prima quinta, una a destra e una a sinistra, per i due danzatori.
In pochi secondi lo spettatore realizza che i filmati sono invertiti rispetto alla reale posizione delle telecamere: i danzatori, che guardano verso l'esterno del palco, sembrano in realtà guardarsi attraverso la linea fra gli schermi. Come se si guardassero attraverso un'unica finestra.


Magia: inizia una soffice interazione attraverso la finestra inesistente nello schermo, con un bellissimo scambio d'energie e una grandissima sensibilità l'uno verso i movimenti dell'altro (in realtà sul palco non si vedono!).
Come un'altra dimensione. Come se fosse nella loro mente, ora, tutto ciò che non è stato detto e non è stato fatto nel loro saluto, nella realtà. Ognuno dei due vive intimamente il rimpianto e il desiderio del non detto, e lo recupera. I loro due pensieri, perfettamente in armonia, completano il saluto nella dimensione astratta dello schermo, unico punto di contatto.
Lei ha uno slancio verso fuori, ma una forza magnetica la trattiene, si gira, guarda lui nella finestra immaginaria. In realtà guarda fuori dal palco, verso sinistra, quindi verso il confine centrale allo schermo.
Restano così per alcuni secondi, a guardarsi nella loro finestra mentre in realtà sul palco sono di spalle e separati dal muro.
Poi lei, col passo grave e solenne di chi ha deciso, cammina piano verso il centro dello schermo, che in realtà è fuori, ed esce dal palco. Sullo schermo, infatti, entra nel confine-finestra e sparisce sulla linea verticale nera.
Lui, in piedi, rivolto verso la finestra-confine, è come travolto da un respiro improvviso che lo spinge indietro. La sua schiena si incurva leggermente in cambré. Il fantasma di lei, sparita nella linea nera della finestra invisibile, lo travolge e gli entra in petto come un soffio.
I capelli di lui si muovono un po' col cambré - torna dritto - l'alito di vento si placa.
Tutto è fermo.
Tutto è risolto.
Buio.
Sipario.




martedì 7 febbraio 2017

Il fiammifero Ottavino

C'è un fiammifero speciale
dalla storia non banale:
anche se di legno è fatto
forse al fuoco non è adatto;
la sua testa è normale
ed il fusto niente male
quanto al piede tuttavia
- dalla sua autobiografia - 
lui non era come gli altri,
tutti dritti, ligi ed alti.
Questi, fin da appena nato
si sentì molto ispirato
e, spostato un pochetto
del suo fusto un legnetto,
con la fine irregolare
già sapeva cosa fare:
passo passo un due tré
si sentì di far passé.
Ciò gli piacque così tanto
che ne fece un grande vanto
ne parlò con i colleghi,
ricevendo sol dinieghi,
e volendo dimostrare
ciò che lui sapeva fare
mai non smise di tener
la zampetta in cou de pied.
Se la scatola ondeggiava
il fiammifero sperava
l'occasione non mancasse
di girare sul suo asse.
Al più scarso movimento
già con grande sentimento
preparavasi affinchè
poi salisse sul piquet.
Il fiammifero Ottavino
era un grande ballerino
tuttavia non era stato
dove un ballerino nato
per natura si suppone
il suo gran talento espone:
non sapeva cos'è un palco
nella scatola in soppalco;
dentro sé però sentiva
una grande energia viva.
Se qualcuno ad una festa
strofinandogli la testa
Ottavino avesse acceso
si sarebbe un po' sorpreso
della grande esuberanza
della fiamma nella stanza.
Per fortuna mai successe
che un umano lo accendesse
e il talento fu scovato
prima d'essere bruciato:
nella vita le occasioni
fanno grandi le passioni
e a trovar la strada giusta
più la vita ci si gusta.
Capitò ad un contadino
nella scatola Ottavino
lo guardò per un momento
e gli parve un po' contento
(senza mimica facciale,
ma il suo legno era speciale:
emanava l'energia
di chi ha una maestria).
Non si mise ad indagare
lo lasciò soltanto stare.
Appoggiando Ottavino
lì di fianco all'accendino
si notò subito che
rimaneva in relevé.
Guadagnò così il diritto
di restare in piedi dritto
sulla mensola del tè
nella posa del passé.